Repubblica: Fondi europei, non è tutto buio a Mezzogiorno

di Sara Ficocelli, l’intervista completa  è disponibile su Repubblica 25 luglio 2019

LE REGIONI DEL SUD hanno la parte del leone nella ripartizione dei fondi strutturali europei. Un primato non invidiabile, dovuto al gap nello sviluppo e nell’occupazione aggravato dalla crisi. Ma c’è un gap anche nella capacità di utilizzo dei fondi? E Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e Basilicata – le regioni del Sud classificate “in ritardo di sviluppo” – sono in ritardo strutturale anche nella spesa dei fondi europei? Ne abbiamo parlato con Francesco Aiello, ordinario di politica economica all’Università della Calabria, e Francesco Foglia, ricercatore Università internazionale di Reggio Calabria, fondatori del centro studi e ricerche OpenCalabria e autori di uno studio sulle differenze regionali nella spesa dei fondi europei. Le cui conclusioni sono in controtendenza: è “empiricamente infondata” la percezione che l’Italia stia perdendo risorse Ue a causa della gestione della spesa delle regioni in ritardo. Ma bisogna rendere più efficace la spesa sui territori, soprattutto in vista del ciclo di programmazione che sta per partire.

Lo studio dei due economisti mette sotto la lente i programmi di sviluppo regionali (e non anche quelli nazionali) che si avvalgono di Fondo Sociale Europeo (FSE) e Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) per il ciclo 2014-2020: 35,5 miliardi di euro totali– stanziati per il 60% dal budget europeo e per il resto dal cofinanziamento nazionale. A oggi, le regioni italiane hanno speso in totale 7,4 miliardi e stanno portando a termine interventi per un ammontare complessivo di 25,8 miliardi di euro, cioè il 69% del totale dei vari programmi regionali. Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia sono le Regioni più in ritardo e al di sotto della media nazionale troviamo anche Abruzzo, Molise e Sardegna (regioni in transizione, nella classificazione europea), sia per quanto riguarda la spesa effettuata che per la quota degli impegni. La spesa delle regioni maggiormente sviluppate (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto e le province Bolzano e Trento) raggiunge il 25% del totale delle loro programmazioni regionali.

Il rischio di perdere risorse europee esiste ovviamente per tutti i programmi. Le norme che regolano l’utilizzo dei fondi, infatti, delineano un tempo massimo di tre anni dall’impegno di bilancio – in capo alle Regioni o ai ministeri per i rispettivi programmi- alla presentazione della domanda di pagamento alla Commissione europea. “Dopodiché – precisa Foglia – scatta il cosiddetto disimpegno automatico, cioè una riduzione del cofinanziamento europeo per l’importo non rendicontato. Oltre ai rischi, però, ci sono anche delle opportunità: per chi centra gli obiettivi intermedi di spesa è prevista una premialità, cioè ulteriori fondi da investire. Diversamente dall’opinione comune, le Regioni italiane non restituiscono fondi a Bruxelles.

Il problema sorge quando, per raggiungere gli obiettivi di spesa, viene ridotto a livello centrale il co-finanziamento nazionale che si traduce, paradossalmente, in minori investimenti“.

In base alla proposta formulata dalla Commissione europea, che rappresenta la base dei negoziati sul budget 2021-2027, l’Italia è tra i sette paesi europei che registrerebbe non un taglio bensì un incremento di risorse di 2.3 miliardi in più rispetto a quanto ricevuto per il periodo 2014-2020, come mette chiaramente in evidenza anche la Corte dei Conti Europea, nonostante il taglio complessivi del 10% che potrebbe subire la politica di coesione. “Questa – spiega Foglia – è contemporaneamente una buona e una cattiva notizia. Se le Regioni italiane e, in particolare, quelle del sud, ricevono più fondi di prima, significa che esse persistono nella condizione di sottosviluppo, cioè sono più povere rispetto alle altre. E in ragione di ciò – questa la buona notizia – continua ad intervenire la politica di coesione, che rappresenta un esempio concreto di solidarietà europea. Il negoziato tra il Parlamento europeo, che chiede più risorse, e il Consiglio, che invece gioca al ribasso, non sarà semplice. Anche perché il programma della nuova presidente della Commissione Europea Von der Leyen prevede, ad esempio, un nuovo Fondo per la transizione equa (Just Transition Fund) che dovrà trovare spazio nel bilancio pluriennale. Senza dimenticare, infine, che i Paesi della zona euro si sono impegnati a creare un mini-bilancio di investimento destinato a chi adotta l’Euro come moneta, eventualmente attingendo ad una quota del bilancio settennale e prevedendo ulteriori contribuzioni su base nazionale”.