“Made in”, è battaglia tra le istituzioni Ue |Glieuros

* di FRANCESCO FOGLIA, già sul portale GliEuros

Da Strasburgo, durante la prima sessione plenaria del 2013, gli eurodeputati hanno criticato la Commissione Europea che lo scorso 25 ottobre tramite il Commissario europeo al Commercio de Gucht, ha deciso di accantonare la proposta regolamentare sui marchi d’origine per i prodotti extra UE.

Per l’Europarlamento, che ha votato a larga maggioranza una nuova risoluzione, l’Unione deve rendere obbligatorio l’uso del “made in” per i prodotti destinati ai consumatori finali, già specificati in una risoluzione del 21 ottobre 2010 tra cui materie tessili e loro manufatti, calzature, indumenti, pellicce artificiali, borse da viaggio, accessori di abbigliamento, contenitori e gioielli, anche se semilavorati. Il motivo dell’abbandono del regolamento deciso al Berlaymont building è chiaro: gli Stati membri non hanno trovato un accordo comune e, “senza regole condivise – tiene a sottolineare il Commissario Karel de Gucht- il mercato globalizzato non porta sviluppo”. La Commissione si è anche appigliata all’ipotesi di bocciatura del regolamento da parte del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) in sede di esame di conformità.

Foto di Dimitra Tzanos ©Flickr.com

Foto di Dimitra Tzanos
©Flickr.com

Attualmente non è obbligatorio indicare il nome del paese di origine per la maggior parte dei prodotti commercializzati nell’Unione, ma la volontà di regolamentare la materia c’è da diverso tempo. A Dicembre del 2003, infatti, la Commissione ha avviato una consultazione pubblica, raccogliendo pareri circa l’adozione di uno dei tre regolamenti proposti, basati sull’obbligo o meno di utilizzare il marchio di origine per i prodotti importati e/o per quelli interni. I 27 pareri ricevuti, tra cui quello italiano di Confindustra, erano discordanti e mettevano in luce delle problematiche rilevanti. Due per tutte, il marchio di origine obbligatorio avrebbe rappresentato una forma di protezionismo incompatibile con il GATT (Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio), e il sistema di “made in UE” non sarebbe stato d’aiuto contro la contraffazione, poiché falsificabile. Le negoziazioni, tuttavia, sono andate avanti per anni, fino alla risoluzione del PE alla quale doveva seguire una presa di posizione determinante del Consiglio che, però, ha mandato tutto all’aria.

La reazione dei deputati è stata unanime: la Commissione deve proporre un nuovo testo aderente ai parametri del WTO per garantire condizioni di parità tra le imprese Ue e i loro concorrenti dei paesi terzi, e tutelare i consumatori. La decisione di abbandonare il regolamento sul “made in” è arrivata, però, in circostanze particolari, ovvero in fase di attuazione del Single Market Act II, che nell’azione chiave numero 11 prevede di “migliorare la sicurezza dei prodotti che circolano nell’UE accrescendo l’uniformità delle norme in materia di sicurezza dei prodotti”, e dell’anno europeo dei cittadini, i quali dovranno rinunciare al diritto di conoscere la provenienza di alcuni prodotti di utilizzo comune, a svantaggio anche delle imprese “Made in UE”.